Non troppo tempo fa ho visto la scena finale di un telefilm. Una signora di mezza età seduta su una panchina di legno, nel bel mezzo della brughiera inglese, brughiera che si gettava in un mare livido. Come è generalmente il mare nordico, spuma bianca e colori improbabili in larghe pennellate. La protagonista ad un certo punto si gira verso una piccola targa di ottone avvitata sullo schienale della panchina, che riporta il nome del padre Hector…e la data di nascita e morte. La donna si toglie il cappello floscio, che porta sempre, e lo usa per strofinare vigorosamente la targa come una brusca carezza.
Non vedo all’orizzonte in questo 45 esimo 9 maggio alcuna panchina amorevole a segnalare il passaggio sulla terra di mio padre Aldo Moro, né una piccola targa in ottone, né altro. So bene che tutto è andato perduto, proprio tutto, e che risuonano solo le voci cattive mentre quelle buone tacciono. Quindi scrivo una targa virtuale: Aldo Moro, uomo buono, insigne statista, maestro di vita ora e sempre nella VERITA’. Nato il 23 settembre del 1916, ucciso il 9 maggio 1978. E questo è quanto. Affido al vento – anche lui invisibile – una carezza mancata da parte del mio ex Paese immemore. Nulla è possibile, senza amore. Nulla. Infatti ogni cosa è andata irrimediabilmente perduta.
Maria Fida Moro