Sai di chi parlo Signore, li conosci bene, li chiami per nome uno per uno. Sai che non si tirano indietro e lavorano sodo, sai che non chiedono niente e danno tutto, sai che portano anche il fardello degli altri, sai che non pensano assolutamente di fare qualcosa di speciale. Tu li ami, Signore, perché ti rassomigliano, perché sono sudati e stanchi, perché hanno le ossa rotte e tanta speranza nel cuore, perché sono uomini di buona volontà.
Nessuno regala loro una medaglia, nessuno dice loro grazie, nessuno si accorge della loro presenza. Eppure sono indispensabili, perché tirano la carretta e con lei l’intero paese e l’umanità sfiduciata. Sono grandi Signore, anche se portano la canottiera, le mezze maniche macchiate di inchiostro, quelle fosforescenti dei vigili urbani, anche se non hanno una laurea, anche se dicono le parolacce, anche se sanno a malapena scrivere il loro nome. Sono limpidi e si fanno attraversare dalle cose, sono pronti a raccogliere quello che c’è di buono. Sanno ridere e cantare. Sanno donare il poco che hanno. Sono dei veri signori dell’anima. Sono gentili e premurosi anche se non sembra. Sono buoni.
Te li offro, questi miei amici. Anche loro ti conoscono, perché ti hanno incontrato fra le stanghe del carro proprio quando il cammino si faceva più duro. Tu ti sei asciugato il sudore sorridendo stancamente come loro e loro hanno subito capito.
Vanno avanti pazientemente con la testardaggine della goccia che scava la pietra ed arriveranno in fondo portando anche noi per mano. Solo allora capiremo che opera meravigliosa è stata la loro e ci sentiremo infinitamente piccoli e inutili noi tutti professori, telecronisti, uomini politici, generali, noi persone vestite bene e con la testa vuota, noi immensamente stolti che ci credevamo ricchi e sapienti, noi l’élite, noi gli intellettuali, noi la curia, noi le signore dell’alta società con tutte le nostre opere di beneficenza. La verità ci farà sobbalzare finalmente. Non siamo stati noi a tirare avanti la baracca, sono stati loro, gli eternamente insultati, i poveri, l’ubriacone uscito di prigione, l’impiegato che non sa come arrivare alla fine del mese, il muratore che sorride in cima all’impalcatura, il cappello di carta messo a sghimbèscio, il controllore arcigno, il tassista arrabbiato, il soldato con la sua macchinetta fotografica stretta al cuore, i bambini che vanno a scuola con il fiocco eternamente sciolto al vento, la signora grassa con la sporta, la maschera del cinema col suo sorriso triste: loro, sono loro che ci hanno portato alla meta, loro ci hanno fatto arrivare in cielo!
Perché il cielo non è ne russo, ne americano, ma dell’ometto che raccoglie le cicche per terra, non è di chi arriva primo, ma di chi si ferma ad aiutare un altro, perché è di tutti coloro che lavorano e credono. Non di quelli che lavorano senza credere in niente, e neppure di quelli che credono astrattamente e basta. E di quelli che silenziosamente si avvicinano al carro e spingono o tirano a seconda delle loro attitudini, e sono profondamente convinti che questo serva a qualcosa, serva per esempio ad arrivare.
Maria Fida Moro